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Relazione Calabrò: idee confuse su concetti difficili

Nella sua relazione annuale al parlamento, il Presidente Calabrò ha toccato nuovamente alcuni dei punti che l'Autorità per le Comunicazioni tiene evidentemente in conto per il progresso del settore nel paese, peccato che alcune scelte appaiono, perlomeno, discutibili.
L'attenzione si è focalizzata sulla presunta necessità per il paese di avere una rete a banda "veramente larga", ovvero costruita in fibra ottica fino ai palazzi, come la vecchia Fastweb ha in parte già realizzato. Le preoccupazioni di Calabrò seguono uno schema che ben conosciamo: una classe politica poco informata è suggestionata da qualche "studio di settore" e decide che per mostrarsi aggiornata ai tempi e alle presunte novità bisogna cavalcare questa o quella iniziativa e oggi è il turno della rete a fibra ottica (sono un candido... lo so). Avevo già commentato questa situazione, quindi la farò breve: l'Italia non ha affatto bisogno di una rete diffusa a fibra ottica e meno che mai di un investimento da parte dello Stato per otto miliardi di euro, sarebbero soldi veramente mal spesi e speriamo che il Parlamento abbia l'onestà di scoprirlo.
Dopo essersi concentrata su questa sinistra possibilità, il Presidente Calabrò ha volto il suo sguardo verso la "televisione" lamentandosi... della sua scarsa "qualità". Non conosco il motivo per cui un'autorità per le comunicazioni faccia riferimento ad un concetto così sofisticato come quello della qualità televisiva. E' anche vero che le sue osservazioni su problemi più materiali non sono spesso molto meglio...
Il problema è il solito "digitale terrestre: lo scopo di Calabrò è sostanzialmente dare una mano a Gentiloni sollecitando l'approvazione della sua legge. "E' l'Europa che ce lo chiede!". In realtà l'Europa non ce lo chiede affatto, anzi chiede completamente un'altra cosa, ci chiede di permettere a tutti l'accesso al mercato delle "trasmissioni di dati digitali" e non l'accesso al mercato "televisivo", ovvero quello dei telegiornali, dei Porta-a-Porta e quant'altro!
Ancora una volta, l'intera "platea di reali" presente non ha (fino a prova contraria) capito che esiste, c'è una legge in vigore, la distinzione fra "chi trasmette il segnale" e chi "trasmette (cioè fornisce) il palinsesto". Quello che molti chiamano "televisione" è il secondo dei due, è il "palinsesto", non l'antenna. Sono quindi infondati tutti i richiami al "pluralismo" dell'informazione, al "duopolio" e tutte le altre logore categorie di "lamentele sinistre" che avviluppano questo paese da anni.
La conclusione dell'intervento è stata dedicata all'altro versante delle "riforme Gentiloni", la separazione delle attività commerciali e di servizio pubblico nella gestione dell'impresa RAI. In un recente incontro avvenuto a due passi dal Parlamento, organizzato dall'ISIMM, tutti, praticamente tutti gli intervenuti, tra giornalisti, protagonisti del mondo televisivo e di quello accademico, hanno respinto l'ipotesi di separazione tra reti pagate dal canone e reti pagate dalla pubblicità...

Purtroppo la situazione non è rosea: basterebbe cambiare un articolo della legge Gasparri per consentire a tutti di gestire le frequenze UHF e VHF (non le televisioni) e quindi non c'è alcun bisogno di approvare la "legge Gentiloni", come invece molti spot stanno con insistenza suggerendo in questi ultimi giorni. Per quanto riguarda la riforma RAI, nel mio piccolo faccio presente che invece di ipotizzare improbabili separazioni, malvolute da tutti, sarebbe il caso di rivedere i fondamenti giuridici alla base del pagamento del "Canone RAI" essendo quest'ultimo ancora, negli anni digitali che viviamo, una "tassa per il possesso di un apparecchio atto a ricevere, o adattabile a ricevere un segnale radiotelevisivo"!

Le "frequenze" in mano ai soliti operatori: Gentiloni ed altri ancora non hanno capito

Ho evitato commenti sui 33 milioni di euro che la RAI ha detto di voler spendere per la rete, anche perchè mi sembrano pochi e già previsti, quindi nessun merito a nessuno. Mi preme, invece, segnalare il demerito sulla preparazione tecnica e politico-economica di molti.
Il ministro Gentiloni non ha perso occasione per rallegrarsi di una "indicazione europea" che evidentemente gli può servire (pensa lui) come ariete per sfondare la porta prima che crolli tutto il castello del centrosinistra.

Purtroppo quello che non ha mai capito, nonostante tutti i richiami che - alla faccia della UE - gli ho fatto io, è che esistendo la separazione (perlomeno così dovrebbe essere in un mondo ideale...) fra i fornitori della connettività e i fornitori dei palinsesti, non c'è alcun pericolo per la "democrazia dell'etere" anche se le antenne le gesticono soltanto due operatori giacchè la televisione come la intende lui (cioè quella cosa li che si vede e si sente e che se ce l'ha berlusconi poi vince alle elezioni...) è "il palinsesto", non le "frequenze" e non le antenne che trasmettono sulla banda UHF e VHF.

L'UE ha semplicemente ricordato che ci potrebbero essere delle imprese volenterose di entrare sul mercato della "trasmissione dati" (non nella "creazione dei palinsesti", ovvero nella "televisione che preme a Gentiloni"), e che quindi bisognerebbe semplicemente evitare di assegnare per legge le nuove, eventuali libere frequenze SOLO a chi già è della partita. Tutto qua, semplice buon senso.
A rigor di logica basta modificare un articolo della precedente legge, non farne un'altra che, tanto per dirne una, non prevede cosa fare quando, passati per esempio due anni, nessuno chiederà licenze per occupare frequenze libere: non credo che l'interesse del paese sia lasciare frequenze inutilizzate solo per non farle gestire (non possedere) da Berlusconi o dalla RAI. O no?

Super Plasma PANASONIC: quando il gioco si fa duro


I duri cominciano a produrre schermi al plasma da 103 pollici! Ebbene, non ho resistito al vecchio richiamo dell'hardware di livello e sono accorso alla presentazione Panasonic che si sta svolgendo in queste ore (potenza della comunicazione telematica) allo Sheraton Golf Building - Parco De'Medici, grazie ad un mezzo mobile appositamente predisposto per allargarsi quel tanto che basta per accogliere sia un simile esemplare di schermo, una sorta di tirannosauro a colori, sia gli altri display al plasma professionali di Panasonic.
In un primo momento può sembrare contraddittorio interessarsi al settore professionale, ma a pensarci bene l'impressione cambia. Quanti appassionati, infatti, sarebbero molto più contenti di poter acquistare un vero "monitor" piuttosto che il solito televisore? Pensateci bene, la parte audio del televisore plasma o LCD non vi interessa, tanto avrete sicuramente un impianto audio all'altezza, ed in fondo neanche del sintonizzatore incorporato vi interessa più di tanto perchè avete già l'intenzione di collegarci un vero computer oppure un sintonizzatore digitale esterno. In questo caso non sarebbe meglio comprare un vero monitor invece che il solito televisore cui collegare tutte q
ueste appendici esternamente? Mi direte: "Si ma, i costi?". Vi risponderò: "No, non aspettatevi cifre folli, sono giustificate dalla qualità stabile nel tempo e da una versatilità sorprendente". La versatilità di questa serie Panasonic risiede nella modularità degli apparecchi. A partire dal display scelto è possibile aggiungere diversi elementi utilizzando gli slot multifunzione presenti sul retro, i quali possono ospitare schede di input come HDMI e DVI, o addirittura un vero computer, trasformando il puro display in vero Media Center. Ma veniamo al protagonista.
Come potete osservare in foto, le dimensioni del grande schermo Panasonic sono estremamente "impressive". Il confronto con un uomo certamente non basso (più alto dei miei 175 cm...) rende l'idea sia delle dimensioni assolute sia dello spazio che è necessario per alloggiarlo. In realtà risulta più problematico il trasporto e lo stazionamento: pesa circa 250 kg. Se farete i conti vi accorgerete che il nuovo display TH-103PF9 sarebbe capace, se posto in verticale, di visualizzare l'immagine di una persona in piedi, a grandezza naturale, secondo i dettami della più moderna concezione di "telepresenza". E non soltanto grazie alle sue dimensioni: con un contrasto di 5000:1 e una risoluzione fullHD (1920 x 1080 linee) assicura una sufficiente fedeltà cromatica e di riproduzione dei dettagli. Ho avuto modo di vedere diverso materiale video, fornito in ingresso da un lettore BlueRay e la sensazione è disarmante. Le immagini sono luminose e i colori vivi come siamo abituati a vederli con i migliori tubi catodici. Da questo punto di vista la tecnologia plasma, superati i problemi di durata dei pannelli, non è inferiore a quella a LCD. Anzi, generalmente la piacevolezza immediata di visione di uno schermo al plasma è superiore rispetto allo schermo LCD, vuoi per il livello del nero (che è davvero nero) vuoi per le sfumature che sono visualizzate (e che spesso mancano negli LCD). Insomma, il nuovo Panasonic 103" ha l'aspetto di un esercizio tecnologico visto su una rivista, ma quando lo si osserva da vicino... in fondo potrebbe anche starci nel nostro salone mentre una bella macchina, dal costo equivalente, no.

Fanno parte della famiglia "fullHD" anche gli altri "plasmini" (si fa per dire) da 65 e 50 pollici. Il TH-65PF9 nella foto qui a destra contornato dalla speciale cornice a raggi infrarossi (connessa via USB con il PC che genera le immagini) che lo trasforma in un display sensibile al tocco. E' un modello capace di circa 68 bilioni di colori e 4096 toni di grigio mentre il TH-50PF9 garantisce le stesse prestazioni con una dimensione di "soli" 50 pollici, e lo vedete qui in basso a sinistra.










Ci sono, infine, anche i modelli con risoluzione inferiore, come il TH-58PH10 e TH-42PH10, etichettabili come "HDready" che fanno sempre la loro impressione: come ho avuto modo di dire in altre occasioni il passaggio dalla definizione PAL a quella di 720 linee è in ogni caso visivamente eclatante...
Esteticamente minimali, sono dei veri monitor, "concetti" di schermo, esattamente quello che ogni vero appassionato desidera.

RAI "non sceglie" il DMB: gli errori in campo


Avrete avuto modo di sapere che RAI, per bocca dell' amministratore delegato di RaiWay Stefano Ciccotti, ha "scelto" il sistema DMB (http://www.worlddab.org/index.php) per diffondere verso ricevitori mobili alcuni flussi audiovideo, in parole meno esatte "alcuni canali TV", in unione a molti flussi audio, ovvero "canali radio". La possibilità tecnica si fonde con i vantaggi economici, e da questo punto di vista nulla da eccepire: in un colpo solo si sono superate tutte le difficoltà che hanno impedito la diffusione del DAB e si ottiene una bella fetta di spettro elettromagnetico pronta per veicolare molti flussi digitali.

Nonostante questo ci sono delle osservazioni da fare.

Innanzitutto una precisazione che va a coprire le solite inesattezze giornalistiche, derivanti da una mancanza di osservazione diretta dei fenomeni: la "piattaforma DVB-H" non comporta obbligatoriamente l'uso del "modello di business pay", come affermato oggi su Affari e Finanza da Stefano Carli: è tecnicamente possibile trasmettere un flusso in tecnica DVB-H e non pretendere il pagamento per la visione. Tutta la retorica sulla televisione "free" che ne consegue, e quindi una supposta maggior conformità del DMB alla "filosofia" dell'azienda RAI, è "fuffa", come si suol dire.

Questa scelta è una "non scelta" e la spiegazione la da proprio Stefano Ciccotti: in pratica non è un investimento in una tecnologia televisiva ma una strategia gattopardesca per dare a bere (e soddisfare parecchi interessi) che si sta mettendo in piedi una rete per la televisione digitale in mobilità spendendo otto milioni di euro invece che trecento. Può sembrare anche una non troppo velata strategia per convincerci noi che il Ministro è stato molto incisivo nell'obbligare RAI ad una scelta, il contratto di servizio è onorato, e la luce è sempre accesa nella stanza di Adiconsum (la quale ha subito plaudito, forse prima che la decisione fosse presa...). Perchè Adiconsum non si adira per tutti i telefonini DVB-H venduti e in vendita oggi che diventano "obsoleti" ancor prima di funzionare a regime?

Hanno giudicato "obsoleto" il DVB-T e gridato allo scandalo per l'imposizione di una "tecnologia nata vecchia", allora anche questa è nata nonna: l'impossibilità di vedere i contenuti premium è inaccettabile nel modello di televisione del 2007. E che dire poi della necessità di comprarsi un altro apparecchio, un altro caricabatterie, oltre il telefono cellulare, per vedere solo RAI? L'ossessione della gratuità è fumo negli occhi: nonostante la mancanza di chiarezza legislativa (il canone è una tassa di possesso per un apparecchio elettronico e il Ministro non ha fatto ancora nulla per risolvere questa assurdità) si paga una tariffa flat annuale per la visione dei programmi RAI. Nessuno vieta e vietava di distribuire canali gratis con il DVB-H e RAI lo può fare (e lo fa) senza una lira di investimento nella rete: basta inserire i flussi audiovideo RAI nello streaming delle differenti offerte DVB-H dei provider di telefonia e non pretendere nessun pagamento per la visione. Per finire, non vediamo il vantaggio di dover favorire Samsung piuttosto che Onda, produttore italiano di telefono DVB-H.