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Infinity e Chromecast: le contraddizioni Mediaset contro i fantasmi OTT

I fatti sono due. Qualche giorno addietro, nell’ambito di un’audizione presso la commissione Trasporti della Camera, il presidente di Mediaset Confalonieri ha ripetuto un mantra oramai decennale: il problema è internet, in una delle molte declinazioni possibili. Un nome su tutti, tanto per cambiare, Google: “l’algoritmo di Google” (?), secondo Confalonieri e quindi per Mediaset, ha gravi colpe, succhia risorse dal mercato pubblicitario, non paga le tasse e via discorrendo. Ma bastano poche ore per leggere una seconda interessante notizia: l’applicazione Infinity, che dovrebbe (ri)lanciare il business dei contenuti on demand di Mediaset, è finalmente compatibile con Chromecast, il microcomputer di Google che si attacca al televisore (ma anche ad altri apparecchi come ho detto qui) e che renderizza un flusso dalla rete sul grande schermo.

Qual è il vantaggio di avere Infinity compatibile con il piccolo apparecchio di Google? E’ molto semplice, consente a Mediaset di scavalcare il problema di dover studiare un’app per ogni televisore o dispositivo connesso alla rete e alla televisione. C’è però un problema di fondo: esiste una contraddizione evidente fra le parole di Confalonieri che vedono internet, ovvero le regole che dovrebbero gestire la distribuzione di contenuti in pacchetti IP, come il regno del male e la contemporanea necessità di usare internet per far funzionare il modello di business Infinity. Difficilmente un’azienda con queste contraddizioni riesce a manovrare bene le leve del marketing che ci hanno insegnato a scuola.

Tutto questo probabilmente non è un caso, deriva da una situazione culturale e di business in bilico fra passato e futuro e l’età anagrafica non aiuta. Il riferimento non è a Confalonieri in senso stretto, anche se è innegabile che la presenza di management costante produce risposte costantemente orientate in un senso, quello di dieci o venti anni addietro. Pure i concorrenti (da capire quale sia l’ambiente di riferimento, ammesso che oggi si possa ancora ragionare a compartimenti commerciali) non hanno idee più chiare. A dirla tutta anche i cosiddetti addetti ai lavori, accademici e non, a una stella o cinque, mancano all'appello nel dare un quadro sociotecnologico comprensibile. Prima di darlo, infatti, bisogna averlo. Ad esempio si usano ancora etichette come "sistema dei serivizi dei media audiovisivi e radiofonici" e si è convinti che "la rete telefonica trasporta video", roba dell'altro secolo. Qui si tratta di saper dominare nello stesso momento tutti i lati del cubo (anche quelli strettamente tecnici) e capire, una volta per tutte, che ognuno è over the top di qualcun altro, i codici slittano gli uni sugli altri e piani fisici si fondono con piani logici. Crociate e battaglie per la sopravvivenza di un "comparto economico", dunque, non hanno senso: o si sopravvive tutti, magari guadagnando meno ovvero cambiando modello di sviluppo, o si muore tutti.


Chromecast, dispositivi Android supportati al 12 luglio 2014

Secondo questa pagina al 12 luglio 2014 è possibile usare la funzione di mirroring soltanto con questi dispositivi Android, stranamente assente il prestante HTC One M8.

  • Nexus 4
  • Nexus 5
  • Nexus 7 (2013)
  • Nexus 10
  • Samsung Galaxy S4
  • Samsung Galaxy S4 (Google Play Edition)
  • Samsung Galaxy S5
  • Samsung Galaxy Note 3
  • Samsung Galaxy Note 10
  • HTC One M7
  • HTC One M7 (Google Play Edition)
  • LG G3
  • LG G2
  • LG G Pro 2 


Al momento la trasmissione dello schermo dei dispositivi mobili non è supportata sui dispositivi iOS.
Al momento la trasmissione dello schermo dei dispositivi mobili è supportata soltanto sui dispositivi Android elencati in precedenza.
La trasmissione dello schermo dei dispositivi mobili è attualmente in versione beta.

Chromecast, novità in arrivo: mirroring e scenari dirompenti

Al Google I/O appena terminato una specifica sessione è stata dedicata agli sviluppi software che vedranno protagonista Chromecast fino alla fine dell’anno.


Il più importante upgrade che è stato già distribuito ai possessori dei "telefoni astuti" (tradotto automaticamente, è divertente) più potenti, francamente il più immediato anche allo sguardo profano, riguarda il “mirroring” (rispecchiamento) dello schermo del dispositivo connesso sullo schermo tv. Non è una novità, in ambito Android il nome di questa funzione è “Miracast” e normalmente ogni nuovo televisore e smartphone la incorpora di serie, sempre ad insaputa dell’acquirente. Pur ignorandola è già possibile, quindi, passare da Chromecast per replicare il contenuto del telefono o del tablet sullo schermo più grande, con una latenza (ovvero ritardo) tutta da sperimentare: nella visione di un film o di una foto non ha nessuna importanza, per gli amanti dei videogiochi è una caratteristica fondamentale. In questi primi giorni di prove, che comunque devono tenere conto della saturazione della rete wi-fi a cui si è necessariamente connessi, sembra che il video sia leggermente fuori sincro. I particolari tecnici e i consigli per ottimizzare la rete wi-fi (il segmento che unisce dispositivo Android e access point deve garantire il doppio della banda normalmente usata) si trovano qui e qui: in particolare si fa notare che la rete deve usare la banda dei 2,4 GHz e non quella da 5 GHz tipica degli access point più recenti.

Rimane il fatto che dal prossimo campionato di calcio si potrà usare un qualunque telefono per avere su grande schermo il video della partita, dove il sincro audio è meno importante. Fino a ieri non era possibile perché la singola applicazione a gestione del video, ad es. Sky Go, doveva essere predisposta a connettersi con Chromecast. Oggi, invece, un dispositivo Android fra quelli in questa lista diventa d'un colpo il Cavallo di Troia per aggirare qualsiasi difficoltà del singolo televisore. Per essere ancora più chiari possono essere visualizzate a 50 (o 300) pollici sia le partite spacchettate e diffuse con i noti programmi p2p, sia quelle di SkyGo, sia quelle Premium, senza avere un particolare televisore con una particolare app o un particolare abbonamento: se la ragazza del palazzo di fronte è particolarmente appassionata potrete anche galantemente passarle una partita a patto di essere collegati alla stessa rete wi-fi. Notazione: questo scenario d'uso è naturalmente un esempio, che non può essere impedito modificando norme, regolamenti, accordi commerciali "per piattaforma" come quelli che tipicamente affliggono la distribuzione di contenuti "premium".

Anche i contenuti locali, quindi, possono essere riprodotti sul grande schermo. Le foto statiche possono essere visualizzate sia nella condivisione schermo nuda e cruda sia attraverso l'applicazione Foto, in questo caso in maniera più efficiente, trasformando il televisore in una grande cornice digitale e, in fondo, chi ha detto che sia necessario un tv? Non è obbligatorio usare una tv, sebbene pochi se ne siano accorti. Innanzitutto Chromecast è perfettamente adatto ad essere collegato ad un proiettore con ingresso HDMI, aprendo interessanti scenari d’uso “office”, pensiamo alle infinite difficoltà ogni qualvolta si debba fare una presentazione. Ma nulla vieta, aspetto poco noto, di collegare Chromecast all’ingresso HDMI di un amplificatore audiovideo, a sua volta connesso o no ad un televisore: nella visione di un contenuto l’audio sarà distribuito all’impianto hifi con la massima qualità possibile ed in fondo, quando serve soltanto l’audio come durante una festa, il video si potrà anche spegnere.

In Google I/O, infatti, sono state annunciate novità riguardanti anche la modalità d’uso “party”. I partecipanti ad una festa possono già ora aggiungere un brano preferito (ad esempio dall’app YT o da una delle altre predisposte a comandare Chromecast) alla lista dei contenuti in riproduzione (la cd. “playlist”) ma per farlo bisogna concedere l’accesso alla stessa rete locale a cui è connesso Chromecast. Con gli ultimi aggiornamenti software in arrivo si potranno accodare contenuti attraverso l’uso di un codice anche senza essere collegati alla medesima rete wi-fi quindi senza necessità di condividere la propria chiave di accesso.

Estendendo il concetto è possibile immaginare usi davvero innovativi: sarà possibile far riprodurre qualsiasi contenuto ad un Chromecast remoto di cui si conosce il codice di accesso. A titolo di esempio sarà possibile comandare un Chromecast a distanza e consentire, anche ad una persona anziana che non sa nulla di smartphone, la visione e l’ascolto di un contenuto, da YT come da un sito web di un giornale, come ha sempre fatto, senza toccare nulla e davanti al solito televisore. Uno scenario dirompente che va al di là del puro intrattenimento.

Tips 4 Shopping - Collegare al wi-fi i dispositivi con la presa Ethernet: il TP-LINK TL-WA890EA

Ho scoperto che TP-LINK vende un nuovo adattatore wi-fi “dual band”, il TL-WA890EA. Un prodotto che al fantastico prezzo di 25 euro su strada (ovvero su Amazon, nonostante un listino di 59,90 euro) risolve d’un colpo tutti i problemi di connessione alla rete dei dispositivi meno attuali.

L'adattatore TL-WA890EA, infatti, permette di collegare alla rete wi-fi quattro apparati dotati solo di presa Ethernet, come televisori non recentissimi, ricevitori digitali terrestri o satellitari (anche SKY), lettori Blu-ray, sintoamplificatori e consolle, come pure computer portatili e non. Con modica cifra, ad esempio, diventa possibile avere sullo schermo del televisore quei servizi di replay tv, come Rai Replay, che non avete mai utilizzato pur essendo il vostro ricevitore digitale terrestre in grado di fornirli (ad es. il mio Telesystem TS 7800 HD).

Il TL-WA890EA è studiato per essere veloce, sicuro e stabile. Grazie alla funzionalità a doppia banda, riceve e trasmette sulle due frequenze wi-fi di 2.4GHz e 5GHz: la prima frequenza garantisce la compatibilità con qualsiasi rete wi-fi, la seconda consente di lasciarsi alle spalle disturbi radioelettrici e affollamento delle reti wi-fi vicine (avete mai visto quante sono?). Sommando la banda disponibile per ognuna delle due si arriva a 600 Mbps totali (teorici, che non servono visto che ne bastano 20 stabili per uno streaming HD decente).

Per collegarlo alla rete wi-fi protetta è possibile usare la funzionalità WPS che permette di associare il dispositivo con la semplice pressione di un tasto, prima sull’access point e poi sul WA890EA. Compatibile con il protocollo IPV6, incorpora un firewall NAT e SPI che proteggono le sue quattro connessioni ethernet. Si alimenta attraverso la porta USB, anche collegandolo direttamente al televisore (senza usare l’alimentatore fornito in dotazione).

Un cavallo (di Troia) chiamato Chromecast

Il piccolo ricevitore Chromecast
Lo abbiamo visto definito nei modi più strani ed in fondo si può capire, somiglia fisicamente ad una “chiavetta” di memoria Usb, pur essendo a guardar bene molto diverso. Le dimensioni sono maggiori, la forma è rotondeggiante ad un’estremità (è la zona dell’antenna wi-fi) e all’altra c’è un connettore HDMI. Lascia intuire che la sua destinazione è il retro del televisore moderno, con ingressi digitali HDMI, ed il suo uso assimilabile ad uno dei tanti gadget video-tecnologici che il mercato presenta senza soluzione di continuità. Dopo averlo messo alla prova, alla luce del business dello streaming dei film che verrà, si intuisce che lo scenario non è così semplice.

Cos’è e come funziona Chromecast

Sul piano tecnico più astratto è un microcomputer, ovvero unione di cpu, memoria e bus di trasporto dati, con scheda di rete wi-fi e uscita audiovideo digitale. Sul piano logico, comprendendo il software di gestione che ne definisce il carattere specifico, è un “renderer DLNA” o DMR, Digital Media Renderer. Come suggerisce il nome, un “renderer” è un dispositivo che “renderizza” cioè prende un file e lo visualizza attraverso schermo e altoparlanti, quindi è un dispositivo che "riceve" e non "trasmette" come invece potrebbe far pensare la descrizione ufficiale su sito Google. Ci sono molti dispositivi DMR nascosti nelle nostre case, un televisore moderno ne incorpora almeno uno, altrettanto fanno console di gioco e lettori Blu-ray, tutti allineati allo standard DLNA (Digital Living Network Alliance) per la condivisione dei file audio, video e foto nella rete domestica. Chromecast, pur essendo nei fatti molto simile, non ha bisogno di aderire all’universale DLNA, è sviluppato da Google, gestito da un software specifico e per il momento destinato a riprodurre soprattutto file provenienti da internet, non dalla rete locale (se non si usano apposite applicazioni come BubbleUpnp ad esempio).
Il vantaggio straordinario, che potrebbe dargli una marcia in più quando si tratterà di acquistare veramente anche in questo paese film dalla rete, sta nella semplicità e nella compatibilità garantita. Tramite una delle app predisposte, ad esempio quella di YouTube o Google Play Movie su smartphone o tablet si comanda Chromecast a prendere un file dalla rete internet ed è tutto. Basta premere la piccola icona rettangolare a simboleggiare il televisore ed il contenuto, anziché essere visualizzato dal dispositivo mobile, sarà gestito direttamente da Chromecast, che prenderà il file dalla rete (non dal telefono) e lo passerà all’ingresso HDMI del televisore pronto per essere disegnato sullo schermo. Tramite browser Chrome su PC, invece, è possibile passare al Chromecast il contenuto di un "tab" fotogramma per fotogramma: in questo caso il contenuto viene prelevato dalla rete, visualizzato dal browser Chrome e passato localmente a Chromecast.
Chromecast, quindi, non è il prodotto di una tecnologia esclusiva o una straordinaria novità, ma sicuramente il suo uso è molto più semplice e standardizzato di qualsiasi concorrente. Un vantaggio che Google potrà affiancare o fondere in Android TV, la controparte software di Chromecast offerta al mercato dei produttori di elettronica.

Perché Chromecast è l'ennesimo (ottimo) cavallo di Troia

Con sguardo ancor più ampio, comprendendo quindi anche l’aspetto commerciale, Chromecast è un “cavallo di Troia” alla pari di tutti gli altri dispositivi più o meno gratuiti piazzati nei pressi del televisore negli ultimi vent’anni almeno. La strategia è ben nota: si regala un dispositivo elettronico (o lo si fa pagare pochissimo) favorendone la massima penetrazione se non addirittura obbligandone l’uso, per poi fornire a pagamento servizi e contenuti esclusivi per un riproduttore esclusivo. Si fa affidamento, quindi, alla tradizionale inerzia nel cambiamento e resistenza verso l'ennesimo scatolotto da collegare al televisore. In una parola tutto si potrebbe riassume con Sky, che basa il suo modello di business non solo sulla competizione fra contenuti sul mercato aperto ma soprattutto sulla presenza obbligatoria del suo riproduttore satellitare (e prossimamente wifi, evidentemente non a caso) chiuso a qualsiasi offerta concorrente in ogni salotto degli abbonati.
E’ una questione pluridecennale, spesso inquadrata col confusionario nome di “decoder unico”, verso la quale è storicamente giusto arrendersi, non c’è stata legge capace di scardinare il concetto. Chromecast, certamente più semplice e “aperto” del decoder Sky, può avere in prospettiva le stesse potenzialità, se non maggiori: non è l’unico DMR a poche decine di euro sul mercato ma è fornito da un grande marchio mondiale che gestisce anche il 70% dei moderni smartphone. Nel nostro mondo politico/economico abituato a ragionare in termini “televisivi” oggi non mette paura a nessuno ed in fondo alla domanda “cosa ci si può fare” per il momento si risponde perlopiù con un “si possono vedere facilmente i contenuti YouTube sul televisore” (aggirando le difficoltà che frenano l’uso delle app preinstallate negli smart-tv).
Ma non ci vuole molto ad immaginare che una massiccia diffusione di Chromecast, tutti gestiti direttamente da Google che tiene un database dei dispositivi connessi e attivi (con dovizia di particolari non esplicitata), può aprire all’istante scenari sostanzialmente dirompenti: infiniti “canali tv” senza licenza e senza confini, infiniti contenuti “live” da qualunque punto nel mondo o da qualunque smartphone a spazzare via accordi e aste per i diritti tv, film e dischi alla portata di un click. Sia chiaro, nulla di nuovo, tutto questo è in teoria possibile anche senza Chromecast, esattamente come la televisione via satellite non dipende da Sky: Chromecast però rende tutto più semplice e standard. E non è tutto. Ogni televisore “chromecastizzato” sul pianeta può essere trasformato in un display “digital signage” e riprodurre su comando remoto con la massima semplicità immagini, suoni, video a comando di un solo click. Un bottone degno della valigetta nucleare del presidente Usa e non serve una flotta di satelliti.

La Goal Line Tecnology GoalControl-4D apre definitivamente la nuova era del calcio.

Cosa
La tecnologia Goal Line Tecnology “GoalControl-4D”, basata sull’uso di sette telecamere ad alta velocità, finalmente elimina i “gol fantasma”. Dopo il test sul campo durante la scorsa Confederation Cup ha dato prova di se nella partita Francia – Honduras ai mondiali brasiliani 2014 e porta il calcio nell’era moderna. Ma non è il solo sistema di controllo esistente al mondo. Nonostante sia quello attualmente in campo, Fifa non ha scelto un solo sistema ufficiale ma fornirà licenze, come avviene per palloni e campi, che certificano uno per uno tutti i sistemi GLT disponibili.

Chi
In pochi mesi dello scorso anno il tedesco GoalControl-4D ha sorprendentemente ottenuto licenza e via libera bruciando concorrenti impegnati da anni come l’inglese “Hawk-Eye” – “Occhio di falco” indispensabile nel tennis, pure basato su sette telecamere e di proprietà Sony (sponsor FIFA) – e “GoalReef”, sistema tedesco-danese che sfrutta variazioni di campo magnetico indotte da uno speciale pallone ad una speciale porta. L’Italia era in prima fila con “GLT3 Trinocular” -  studiato dall’Istituto di Studi sui Sistemi Intelligenti per l'Automazione-CNR di Bari del prof. Distante - al quale di telecamere ne bastano soltanto 3 ma scartato da Fifa con poca trasparenza nel marzo 2012, nonostante l’impegno di FIGC a fianco dei brevetti italiani usati da anni con successo nello stadio di Udine “in via sperimentale”.

Come
Come funziona “GoalControl-4D”? Sette telecamere ad alta velocità, capaci di registrare 500 immagini al secondo contro le 25 della televisione standard, sono puntate sulla porta con angolazioni diverse. Le immagini digitali sono passate al software che gira su potenti computer moderni il quale riesce a ricostruire la traiettoria anche se il pallone è coperto. Se il sistema decreta che il pallone ha superato completamente la linea di porta scatta un avviso vibrante all’”orologio” da polso dell’arbitro e sugli schermi dello stadio vengono mostrate le normali inquadrature delle telecamere (che spesso basterebbero da sole) e la ricostruzione sintetica della scena in movimento in cui non compaiono tutti i giocatori con sottotitolo esplicito “non-gol” o “gol” momento per momento. Nessuna interruzione, quindi, e nessuna incertezza nonostante i commenti giornalistici del giorno dopo: il fatto che ieri sia stata in un primo momento visibile la scritta “non-gol” è perfettamente normale, descrive l’azione momento per momento ed in quel momento non era ancora gol.


Il commento
Tutto l’armamentario tradizionalmente usato per lasciare il gioco del calcio con il piede negli anni ’50 speriamo sia da oggi messo da parte, anche da parte di commentatori. La solita cantilena del flusso di gioco non interrompibile o dei sorrisini di superiorità percettiva dell’arbitro è oramai fuori tempo massimo: come hanno dimostrato le immagini in diretta dal Brasile ad interrompere il gioco sono gli allenatori che come bambini in cortile contestano quello che evidentemente non può essere contestato. La pretesa di mantenere regole e dotazioni del campo uguali in tutti i campi del mondo, poi, sfiora il ridicolo: da che mondo è mondo gli stessi ragazzini giocano non solo senza arbitro e senza radiolina ma addirittura senza porte e si divertono lo stesso.
Nonostante l’evidenza qualche passatista esisterà comunque, a partire dall’anacronistico Platini, se non altro per sentirsi chic quel tanto che basta. Nessun vero tifoso, però, è così ingenuo da non sapere che il calcio è anche un sistema di potere con i suoi conservatori interessati, quindi lo diciamo chiaramente: al vero tifoso non interessa risolvere il cento per cento dei dubbi, basterebbe anche il cinquanta per evitare quelle plateali, pacchiane decisioni sbagliate che in tempo reale, anche grazie al solo full HD e super slow motion, vede oramai anche l'altro emisfero spaparanzato in visione, tranne l’arbitro in campo.
Cosa succederà dopo il mondiale di Brasile 2014? Nella Premier League è usato Hawk-Eye, così come nel campionato olandese c’è il progetto “Arbitration 2.0”, il calcio italiano è immobile, la Nazionale speriamo di no.

La Nuvola Rosa - ricerca McKinsey & Company-Valore D: il destino delle figlie dipende dai comportamenti dei genitori

Cosa
Nell'ambito della conferenza stampa di presentazione della seconda edizione de La Nuvola Rosa, iniziativa ideata da Microsoft Italia insieme a 16 partner del mondo pubblico e privato, è stato illustrata la ricerca McKinsey & Company-Valore D “Occupazione-Istruzione-Educazione:le trappole nascoste nel percorso delle ragazze verso il lavoro”, che analizza gli ostacoli e i pregiudizi, spesso inconsapevoli, che condizionano le scelte formative delle ragazze e di conseguenza, il loro inserimento nel mercato del lavoro.

Quando
dal 22 Aprile 2014

Dove
Roma

Chi
Info+
La cultura prevalente e le famiglie esercitano un’influenza importante sin dall’infanzia (giochi genitori-figli e attività domestiche), mentre le difficoltà economiche del nucleo familiare determinano tassi di abbandono scolastico più elevati tra le giovani donne sia nella scuola superiore (25-27% rispetto al 12% dei maschi) che all’università (67% rispetto a 58%).


Inoltre, le giovani tendono a scegliere il proprio percorso formativo senza contezza degli sbocchi occupazionali: gli indirizzi scolastici e universitari privilegiati dalle ragazze (ambito letterario, giuridico, linguistico, chimico-farmaceutico, geo-biologico e dell’insegnamento) presentano tassi di occupazione ridotti e salari modesti (circa 1.200 € netti mensili a 5 anni dalla laurea), mentre solo il 20-30% delle ragazze opta per una formazione tecnico-scientifica, pur in presenza di maggiori possibilità di occupazione e migliori salari (quasi 1.500 € netti mensili). Anche in azienda, sin dalla prima esperienza di stage e tirocinio, le femmine vengono retribuite meno nella metà dei casi rispetto ai colleghi maschi e soffrono di maggiore instabilità lavorativa (l’incidenza dei contratti precari tra le donne 15-24 anni è del 51% rispetto al 40% degli uomini).


Una Nuvola Rosa per colmare il divario di genere nella scienza e nella tecnologia.

La Nuvola Rosa
Cosa
Dopo il successo dell'edizione di Firenze, presentata oggi la seconda edizione de La Nuvola Rosa, iniziativa ideata da Microsoft Italia insieme a 16 partner del mondo pubblico e privato. A Roma oltre 630 ragazze provenienti da tutta Italia, 44 corsi gratuiti, più di 100 relatori. Anche quest'anno La Nuvola Rosa si avvale del prezioso contributo di diverse Università dislocate su tutto il territorio italiano, impegnate a diffondere l’iniziativa e a sostenere la partecipazione delle loro studentesse

Quando
dal 22 al 24 Aprile 2014

Dove
Roma, Facoltà di Ingegneria Università Sapienza.

Chi
Hanno partecipato a testimonianza dell'impegno per la realizzazione dell'iniziativa:
  • Ermenegilda Siniscalchi, Capo del Dipartimento Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri; Carlo Purassanta, Amministratore Delegato Microsoft Italia; Tiziana Catarci, Prorettore per le Infrastrutture e le Tecnologie, Sapienza Università di Roma; Roberta Marracino, Direttore della Comunicazione e della Ricerca,  McKinsey & Company – Valore D; Doreen Bogdan-Martin, Chief of Strategic Planning, ITU; Lucy Hoareau, Senior programme specialist in Capacity building in Sciences and engineering, UNESCO; Anna Di Silverio, CEO Avanade Italy; Andrea Galbiati, CEO Asus Italy; Carlo Parmeggiani, Public Sector Director Intel Southern Europe; Marco Patuano, CEO Telecom Italia.
  • Partecipano anche UN WOMEN - Entità delle Nazioni Unite per l'Uguaglianza di Genere e l'Empowerment Femminile - UNric, ITU e UNESCO.
  • Collaborano importanti realtà del Terzo Settore: Fondazione Cariplo, Junior Achievement, Fondazione Mondo Digitale. Adecco curerà i training dedicati all'ingresso nel mondo del lavoro.
  • La Friendship Ambassadors Foundation ha inviato a Roma una delegazione di studentesse di tutto il mondo.
Perché
per sensibilizzare le giovani studentesse italiane sulla necessità di colmare il divario di genere nella scienza, nella tecnologia e nella ricerca.


Mercoledi 23, Facoltà di Ingegneria di via Eudossiana
  1. 44 corsi di formazione e di approfondimento, occasioni di dialogo con role-model e seminari indirizzati alle studentesse italiane e straniere dell’ultimo biennio delle scuole superiori e delle università, suddivisi nei 6 percorsi tematici: TechHer, DevelopHer, LawyHer, EmpowerHer, InspirHer e EmployHer. Saranno proposte alle ragazze occasioni di colloquio con aziende multinazionali e nazionali per accedere a stage e percorsi di formazione.
  2. Pink Hackathon al femminile: ideazione di un’app per risolvere in maniera creativa e “tech” piccole e grandi sfide della vita quotidiana.


Giovedì 24, convegno conclusivo “Giovani e lavoro: dalla formazione alle competenze, dal talento alla grinta”, confronto fra formatori, rappresentanti di aziende e di società di selezione che tracceranno un quadro di opportunità che possa stimolare positivamente le ragazze presenti. Disponibile video streaming.

Info+
Nell'ambito della conferenza stampa presentata la ricerca McKinsey & Company-Valore D “Occupazione-Istruzione-Educazione:le trappole nascoste nel percorso delle ragazze verso il lavoro”, che analizza gli ostacoli e i pregiudizi, spesso inconsapevoli, che condizionano le scelte formative delle ragazze e di conseguenza, il loro inserimento nel mercato del lavoro.

http://www.lanuvolarosa.it

 #nuvolarosa

Inaugurato LED Università Sapienza


Chi
Mario Fiumara, Deputy regional Manager UniCredit per il Centro Italia, e Carlo Purassanta, Amministratore Delegato Microsoft Italia
Cosa
hanno inaugurato a Roma in collaborazione con l’ Università Sapienza, il “Laboratorio Esperienza Digitale” (LED), nell’ambito del progetto co-branding UniCredit-Microsoft denominato ''Digitali per crescere: Abituati ad innovare'' lanciata a fine ottobre 2013.
Dove
Il LED di Roma si trova nella Città Universitaria, palazzina Cu007.
Perché
Il LED è un luogo per:
  • formazione gratuita per le PMI, i professionisti e i giovani su due temi, Cloud Computing e Mobility.
  • showcase nuove tecnologie e condivisione di best practice.
  • erogazione corsi di educazione bancaria e finanziaria, agli imprenditori e ai professionisti locali, che fanno parte del Programma In-formati di UniCredit e workshop su specifici prodotti e servizi della banca per supportare processi di innovazione delle imprese.
  • incontrare i partner UniCredit e Microsoft radicati su territorio
Info+
Si tratta del quinto laboratorio in Italia, dopo i Led di Napoli, Milano, Bari e Torino.
Il primo semestre dell'iniziativa ha già raggiunto 600.000 PMI, formandone oltre 4.500.
Il sito dedicato www.digitalipercrescere.it ha raggiunto quasi 180.000 utenti unici.

Il rettore Frati, pro-tempore come lui stesso ha tenuto a sottolineare, ha ringraziato le due imprese che hanno lanciato e finanziato l'iniziativa, la quale si inserisce nel più ampio progetto nazionale "Digitali per crescere". Il ruolo dei privati all'interno dell'Università è il tema più generale in cui il LED dovrebbe essere inserito, con maggiore franchezza e con decisioni definitive prese coinvolgendo tutte le parti in causa, quindi anche gli studenti. Finchè non sarà ufficialmente e universalmente accettato il ruolo dei privati, infatti, si corre il rischio di trasformare una iniziativa interessante come il lancio del LED Sapienza in semplice promozione passeggera. I passi per disinnescare destini inutili ci sono, basterà che l'istituzione accademica si faccia parte in causa e approfitti della disponibilità per mantenere seriamente vivo un punto fisico all'interno della città universitaria in cui potersi collegare con le realtà del territorio, possibilmente in modo semplice, trasparente ed aperto alla comunicazione bidirezionale (tradotto: accettando i suggerimenti degli utilizzatori).

XP morto, viva XP.

Il sistema informativo dello Stadio Olimpico utilizza ancora Windows XP, il sistema operativo Microsoft lanciato nell’ottobre 2001: deve temere l’interruzione del supporto tecnico e commerciale a partire da domani 8 aprile 2014? Per la partita della As Roma del 12 aprile probabilmente non ci saranno problemi, il risultato sul tabellone sarà ancora quello giusto (ovvero la cifra decimale a sinistra del trattino sarà maggiore di quella a destra) e gli hacker dotati di smartphone dovranno arrendersi. Windows XP continuerà a funzionare ma non riceverà più aggiornamenti tramite Windows Update, anche se sembra che Microsoft voglia prolungare fino al 14 luglio 2015 la vita dello strumento di rimozione malware MSRT e dell’antivirus proprietario Security Essentials, pur sostenendo che il solo uso di un antivirus aggiornato non rappresenta una soluzione sicura. E’ obbligatorio, dunque, sostituire il sistema operativo del proprio PC? Privati ed aziende hanno diverse esigenze, quindi la risposta non può essere univoca.

Un privato con hardware abbastanza recente, degli ultimi tre o quattro anni, avrebbe vantaggio nel passare ad un sistema operativo Microsoft più recente come Windows 7 o 8.1 (non volendo aspettare l’aprile 2015 per l’ennesima versione chiamata Threshold o 9) sfruttando al massimo le caratteristiche di componenti e multiprocessori moderni. Ma se il computer in uso fa il suo dovere da dieci anni, caso non infrequente, è difficile sostenere lo stesso. Innanzitutto la quantità di memoria RAM potrebbe non bastare, almeno 4 Gbyte sono necessari per un uso normale. Inoltre potrebbe non esservi convenienza economica e se la configurazione è stabile (quella stabilità cercata per anni) ai nuovi driver si può rinunciare. Peraltro nessuno impedirà agli sviluppatori esterni a Microsoft di continuare a produrre nuovi driver per nuove periferiche, come pure aggiornamenti per i programmi antivirus.

Al link www.windowsxp.it e tramite la linea telefonica dedicata al numero 0398947133 gli utenti finali possono avere le informazioni per passare a un sistema operativo Microsoft più moderno, anche se probabilmente mancherà l’unica attesa dai potenziali nuovi utenti di Windows 8.1 (il quale ha finalmente ripristinato l’uso di mouse e tastiera) quella sul prezzo finale. Anche potendo disporre di un recente Pc multiprocessore e con interfaccia eSATA 6Gb/s adatta ai più moderni dischi SSD allo stato solido (gli unici due veri, buoni motivi per usare un sistema operativo aggiornatissimo) occorre sempre sborsare almeno 119 euro per avere la versione base di Windows 8.1 e 279 per quella veramente completa. Siamo davvero certi che le politiche di prezzo di Microsoft siano quelle adatte al mercato del 2014 e non ferme all’informatica di venti anni fa? Personalmente non lo credo, esistono concorrenti che all’epoca non erano tali e se Microsoft sta pensando di regalare il suo SO “per telefoni” non vedo perché una copia di Windows “da tavolo” debba costare più dell’equivalente Apple (Mac OS X 10.6.3 Snow Leopard costa meno di 50 euro).

Per le aziende lo scenario è diverso, il problema si riguarda soprattutto la sicurezza operativa e Tim Rains, responsabile del gruppo sicurezza dei S.o. Microsoft, ha rilasciato dichiarazioni nette circa la pericolosità di Xp da maggio in poi. Le più preoccupate sono le banche e conseguentemente tutti noi, perché moltissimi ATM Bancomat utilizzano ancora Windows Xp abbinato ad hardware oramai obsoleto, nonostante Microsoft abbia da tempo annunciato l’avvicinarsi della scadenza del supporto e reso disponibile su www.digitalipercrescere.it una raccolta di risorse utili per la transizione, anche hardware, che appare inevitabile. Anche i costi, in particolare il costo totale di possesso, devono essere attentamente valutati. IDC stima che i costi di un’azienda per mantenere un PC con sistema operativo Windows XP nei prossimi tre anni (2014-2016) si attestino intorno ai 2.238 €, contro costi di mantenimento di un PC con Windows 8 di soli 606 €.

Un’alternativa al pensionamento di Pc ancora funzionali, comunque, c’è. Si può installare (o provare senza installare nulla) Ubuntu Linux, disponibile gratuitamente e in diverse versioni, ognuna specializzata per potenza dell’hardware o per tipologia di uso. Fra pochi giorni, il 17 aprile prossimo, sarà disponibile la nuova edizione 14.04 “Trusty Tahr” della distribuzione principale Ubuntu, pure in versione "LTS" acronimo di Long Term Support, ovvero aggiornata fino ad aprile 2017. E’ destinata ai Pc più recenti e incorpora una gamma variegata di programmi aggiornatissimi, compresa la nota suite Libre Office in grado di svolgere tutti i compiti di Microsoft Office. Per i computer più vecchi, invece, sono disponibili le versioni Xubuntu e, soprattutto, Lubuntu. A fronte di un kernel identico, la parte più interna e importante del sistema operativo, si differenziano per minore presenza di programmi accessori che rallentano avvio e lavoro, e per la scelta di desktop alternativi. Il tipo di interfaccia desktop, infatti, influisce pesantemente sulle prestazioni del Pc insieme agli automatismi di ricerca comodi ma avari di risorse. Lubuntu è la versione più snella, con interfaccia desktop senza effetti grafici simile a quella di Windows Xp, quindi il passaggio è praticamente indolore per difficoltà e per costo.

Motore Guzzi in spot Maserati: viva l'Italia o la FCA.

Super Bowl 2014. L'orgoglio italiano passa dallo spot Maserati visto da centomilioni di persone durante il SB di ieri sera. Il tono è mitico, le immagini coinvolgenti, l'idea è che siamo piccoli ma molto incazzati. Ma la domanda è: che ci fa uno scorcio di Moto Guzzi nello spot Maserati?

Al cinquantesimo secondo ecco apparire un particolare, con tanto di numero di serie, di una (molto probabilmente) Griso 1200 con il mitico motore bicilindrico 90 gradi a V e telaio a culla portante. Fantastico, davvero viva l'Italia, quel riflesso che una società con sede a Londra difficilmente riuscirà a mantenere. I marchi Maserati e Ferrari, ognuno con i suoi limiti che Top Gear non manca spesso di sottolineare, non possono gettare il tricolore su macchine pensate e costruite globalmente. Moto Guzzi invece, pur in una fase commerciale poco visibile, è ancora al suo posto in Italia. Le "vetture" sono solo cose, auto e moto no, hanno un'anima che deve abitare da qualche parte, non in aereoporto.

Motore Guzzi in spot Maserati Super Bowl 2014