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Infinity e Chromecast: le contraddizioni Mediaset contro i fantasmi OTT

I fatti sono due. Qualche giorno addietro, nell’ambito di un’audizione presso la commissione Trasporti della Camera, il presidente di Mediaset Confalonieri ha ripetuto un mantra oramai decennale: il problema è internet, in una delle molte declinazioni possibili. Un nome su tutti, tanto per cambiare, Google: “l’algoritmo di Google” (?), secondo Confalonieri e quindi per Mediaset, ha gravi colpe, succhia risorse dal mercato pubblicitario, non paga le tasse e via discorrendo. Ma bastano poche ore per leggere una seconda interessante notizia: l’applicazione Infinity, che dovrebbe (ri)lanciare il business dei contenuti on demand di Mediaset, è finalmente compatibile con Chromecast, il microcomputer di Google che si attacca al televisore (ma anche ad altri apparecchi come ho detto qui) e che renderizza un flusso dalla rete sul grande schermo.

Qual è il vantaggio di avere Infinity compatibile con il piccolo apparecchio di Google? E’ molto semplice, consente a Mediaset di scavalcare il problema di dover studiare un’app per ogni televisore o dispositivo connesso alla rete e alla televisione. C’è però un problema di fondo: esiste una contraddizione evidente fra le parole di Confalonieri che vedono internet, ovvero le regole che dovrebbero gestire la distribuzione di contenuti in pacchetti IP, come il regno del male e la contemporanea necessità di usare internet per far funzionare il modello di business Infinity. Difficilmente un’azienda con queste contraddizioni riesce a manovrare bene le leve del marketing che ci hanno insegnato a scuola.

Tutto questo probabilmente non è un caso, deriva da una situazione culturale e di business in bilico fra passato e futuro e l’età anagrafica non aiuta. Il riferimento non è a Confalonieri in senso stretto, anche se è innegabile che la presenza di management costante produce risposte costantemente orientate in un senso, quello di dieci o venti anni addietro. Pure i concorrenti (da capire quale sia l’ambiente di riferimento, ammesso che oggi si possa ancora ragionare a compartimenti commerciali) non hanno idee più chiare. A dirla tutta anche i cosiddetti addetti ai lavori, accademici e non, a una stella o cinque, mancano all'appello nel dare un quadro sociotecnologico comprensibile. Prima di darlo, infatti, bisogna averlo. Ad esempio si usano ancora etichette come "sistema dei serivizi dei media audiovisivi e radiofonici" e si è convinti che "la rete telefonica trasporta video", roba dell'altro secolo. Qui si tratta di saper dominare nello stesso momento tutti i lati del cubo (anche quelli strettamente tecnici) e capire, una volta per tutte, che ognuno è over the top di qualcun altro, i codici slittano gli uni sugli altri e piani fisici si fondono con piani logici. Crociate e battaglie per la sopravvivenza di un "comparto economico", dunque, non hanno senso: o si sopravvive tutti, magari guadagnando meno ovvero cambiando modello di sviluppo, o si muore tutti.


Chromecast, dispositivi Android supportati al 12 luglio 2014

Secondo questa pagina al 12 luglio 2014 è possibile usare la funzione di mirroring soltanto con questi dispositivi Android, stranamente assente il prestante HTC One M8.

  • Nexus 4
  • Nexus 5
  • Nexus 7 (2013)
  • Nexus 10
  • Samsung Galaxy S4
  • Samsung Galaxy S4 (Google Play Edition)
  • Samsung Galaxy S5
  • Samsung Galaxy Note 3
  • Samsung Galaxy Note 10
  • HTC One M7
  • HTC One M7 (Google Play Edition)
  • LG G3
  • LG G2
  • LG G Pro 2 


Al momento la trasmissione dello schermo dei dispositivi mobili non è supportata sui dispositivi iOS.
Al momento la trasmissione dello schermo dei dispositivi mobili è supportata soltanto sui dispositivi Android elencati in precedenza.
La trasmissione dello schermo dei dispositivi mobili è attualmente in versione beta.

Chromecast, novità in arrivo: mirroring e scenari dirompenti

Al Google I/O appena terminato una specifica sessione è stata dedicata agli sviluppi software che vedranno protagonista Chromecast fino alla fine dell’anno.


Il più importante upgrade che è stato già distribuito ai possessori dei "telefoni astuti" (tradotto automaticamente, è divertente) più potenti, francamente il più immediato anche allo sguardo profano, riguarda il “mirroring” (rispecchiamento) dello schermo del dispositivo connesso sullo schermo tv. Non è una novità, in ambito Android il nome di questa funzione è “Miracast” e normalmente ogni nuovo televisore e smartphone la incorpora di serie, sempre ad insaputa dell’acquirente. Pur ignorandola è già possibile, quindi, passare da Chromecast per replicare il contenuto del telefono o del tablet sullo schermo più grande, con una latenza (ovvero ritardo) tutta da sperimentare: nella visione di un film o di una foto non ha nessuna importanza, per gli amanti dei videogiochi è una caratteristica fondamentale. In questi primi giorni di prove, che comunque devono tenere conto della saturazione della rete wi-fi a cui si è necessariamente connessi, sembra che il video sia leggermente fuori sincro. I particolari tecnici e i consigli per ottimizzare la rete wi-fi (il segmento che unisce dispositivo Android e access point deve garantire il doppio della banda normalmente usata) si trovano qui e qui: in particolare si fa notare che la rete deve usare la banda dei 2,4 GHz e non quella da 5 GHz tipica degli access point più recenti.

Rimane il fatto che dal prossimo campionato di calcio si potrà usare un qualunque telefono per avere su grande schermo il video della partita, dove il sincro audio è meno importante. Fino a ieri non era possibile perché la singola applicazione a gestione del video, ad es. Sky Go, doveva essere predisposta a connettersi con Chromecast. Oggi, invece, un dispositivo Android fra quelli in questa lista diventa d'un colpo il Cavallo di Troia per aggirare qualsiasi difficoltà del singolo televisore. Per essere ancora più chiari possono essere visualizzate a 50 (o 300) pollici sia le partite spacchettate e diffuse con i noti programmi p2p, sia quelle di SkyGo, sia quelle Premium, senza avere un particolare televisore con una particolare app o un particolare abbonamento: se la ragazza del palazzo di fronte è particolarmente appassionata potrete anche galantemente passarle una partita a patto di essere collegati alla stessa rete wi-fi. Notazione: questo scenario d'uso è naturalmente un esempio, che non può essere impedito modificando norme, regolamenti, accordi commerciali "per piattaforma" come quelli che tipicamente affliggono la distribuzione di contenuti "premium".

Anche i contenuti locali, quindi, possono essere riprodotti sul grande schermo. Le foto statiche possono essere visualizzate sia nella condivisione schermo nuda e cruda sia attraverso l'applicazione Foto, in questo caso in maniera più efficiente, trasformando il televisore in una grande cornice digitale e, in fondo, chi ha detto che sia necessario un tv? Non è obbligatorio usare una tv, sebbene pochi se ne siano accorti. Innanzitutto Chromecast è perfettamente adatto ad essere collegato ad un proiettore con ingresso HDMI, aprendo interessanti scenari d’uso “office”, pensiamo alle infinite difficoltà ogni qualvolta si debba fare una presentazione. Ma nulla vieta, aspetto poco noto, di collegare Chromecast all’ingresso HDMI di un amplificatore audiovideo, a sua volta connesso o no ad un televisore: nella visione di un contenuto l’audio sarà distribuito all’impianto hifi con la massima qualità possibile ed in fondo, quando serve soltanto l’audio come durante una festa, il video si potrà anche spegnere.

In Google I/O, infatti, sono state annunciate novità riguardanti anche la modalità d’uso “party”. I partecipanti ad una festa possono già ora aggiungere un brano preferito (ad esempio dall’app YT o da una delle altre predisposte a comandare Chromecast) alla lista dei contenuti in riproduzione (la cd. “playlist”) ma per farlo bisogna concedere l’accesso alla stessa rete locale a cui è connesso Chromecast. Con gli ultimi aggiornamenti software in arrivo si potranno accodare contenuti attraverso l’uso di un codice anche senza essere collegati alla medesima rete wi-fi quindi senza necessità di condividere la propria chiave di accesso.

Estendendo il concetto è possibile immaginare usi davvero innovativi: sarà possibile far riprodurre qualsiasi contenuto ad un Chromecast remoto di cui si conosce il codice di accesso. A titolo di esempio sarà possibile comandare un Chromecast a distanza e consentire, anche ad una persona anziana che non sa nulla di smartphone, la visione e l’ascolto di un contenuto, da YT come da un sito web di un giornale, come ha sempre fatto, senza toccare nulla e davanti al solito televisore. Uno scenario dirompente che va al di là del puro intrattenimento.

Tips 4 Shopping - Collegare al wi-fi i dispositivi con la presa Ethernet: il TP-LINK TL-WA890EA

Ho scoperto che TP-LINK vende un nuovo adattatore wi-fi “dual band”, il TL-WA890EA. Un prodotto che al fantastico prezzo di 25 euro su strada (ovvero su Amazon, nonostante un listino di 59,90 euro) risolve d’un colpo tutti i problemi di connessione alla rete dei dispositivi meno attuali.

L'adattatore TL-WA890EA, infatti, permette di collegare alla rete wi-fi quattro apparati dotati solo di presa Ethernet, come televisori non recentissimi, ricevitori digitali terrestri o satellitari (anche SKY), lettori Blu-ray, sintoamplificatori e consolle, come pure computer portatili e non. Con modica cifra, ad esempio, diventa possibile avere sullo schermo del televisore quei servizi di replay tv, come Rai Replay, che non avete mai utilizzato pur essendo il vostro ricevitore digitale terrestre in grado di fornirli (ad es. il mio Telesystem TS 7800 HD).

Il TL-WA890EA è studiato per essere veloce, sicuro e stabile. Grazie alla funzionalità a doppia banda, riceve e trasmette sulle due frequenze wi-fi di 2.4GHz e 5GHz: la prima frequenza garantisce la compatibilità con qualsiasi rete wi-fi, la seconda consente di lasciarsi alle spalle disturbi radioelettrici e affollamento delle reti wi-fi vicine (avete mai visto quante sono?). Sommando la banda disponibile per ognuna delle due si arriva a 600 Mbps totali (teorici, che non servono visto che ne bastano 20 stabili per uno streaming HD decente).

Per collegarlo alla rete wi-fi protetta è possibile usare la funzionalità WPS che permette di associare il dispositivo con la semplice pressione di un tasto, prima sull’access point e poi sul WA890EA. Compatibile con il protocollo IPV6, incorpora un firewall NAT e SPI che proteggono le sue quattro connessioni ethernet. Si alimenta attraverso la porta USB, anche collegandolo direttamente al televisore (senza usare l’alimentatore fornito in dotazione).

Un cavallo (di Troia) chiamato Chromecast

Il piccolo ricevitore Chromecast
Lo abbiamo visto definito nei modi più strani ed in fondo si può capire, somiglia fisicamente ad una “chiavetta” di memoria Usb, pur essendo a guardar bene molto diverso. Le dimensioni sono maggiori, la forma è rotondeggiante ad un’estremità (è la zona dell’antenna wi-fi) e all’altra c’è un connettore HDMI. Lascia intuire che la sua destinazione è il retro del televisore moderno, con ingressi digitali HDMI, ed il suo uso assimilabile ad uno dei tanti gadget video-tecnologici che il mercato presenta senza soluzione di continuità. Dopo averlo messo alla prova, alla luce del business dello streaming dei film che verrà, si intuisce che lo scenario non è così semplice.

Cos’è e come funziona Chromecast

Sul piano tecnico più astratto è un microcomputer, ovvero unione di cpu, memoria e bus di trasporto dati, con scheda di rete wi-fi e uscita audiovideo digitale. Sul piano logico, comprendendo il software di gestione che ne definisce il carattere specifico, è un “renderer DLNA” o DMR, Digital Media Renderer. Come suggerisce il nome, un “renderer” è un dispositivo che “renderizza” cioè prende un file e lo visualizza attraverso schermo e altoparlanti, quindi è un dispositivo che "riceve" e non "trasmette" come invece potrebbe far pensare la descrizione ufficiale su sito Google. Ci sono molti dispositivi DMR nascosti nelle nostre case, un televisore moderno ne incorpora almeno uno, altrettanto fanno console di gioco e lettori Blu-ray, tutti allineati allo standard DLNA (Digital Living Network Alliance) per la condivisione dei file audio, video e foto nella rete domestica. Chromecast, pur essendo nei fatti molto simile, non ha bisogno di aderire all’universale DLNA, è sviluppato da Google, gestito da un software specifico e per il momento destinato a riprodurre soprattutto file provenienti da internet, non dalla rete locale (se non si usano apposite applicazioni come BubbleUpnp ad esempio).
Il vantaggio straordinario, che potrebbe dargli una marcia in più quando si tratterà di acquistare veramente anche in questo paese film dalla rete, sta nella semplicità e nella compatibilità garantita. Tramite una delle app predisposte, ad esempio quella di YouTube o Google Play Movie su smartphone o tablet si comanda Chromecast a prendere un file dalla rete internet ed è tutto. Basta premere la piccola icona rettangolare a simboleggiare il televisore ed il contenuto, anziché essere visualizzato dal dispositivo mobile, sarà gestito direttamente da Chromecast, che prenderà il file dalla rete (non dal telefono) e lo passerà all’ingresso HDMI del televisore pronto per essere disegnato sullo schermo. Tramite browser Chrome su PC, invece, è possibile passare al Chromecast il contenuto di un "tab" fotogramma per fotogramma: in questo caso il contenuto viene prelevato dalla rete, visualizzato dal browser Chrome e passato localmente a Chromecast.
Chromecast, quindi, non è il prodotto di una tecnologia esclusiva o una straordinaria novità, ma sicuramente il suo uso è molto più semplice e standardizzato di qualsiasi concorrente. Un vantaggio che Google potrà affiancare o fondere in Android TV, la controparte software di Chromecast offerta al mercato dei produttori di elettronica.

Perché Chromecast è l'ennesimo (ottimo) cavallo di Troia

Con sguardo ancor più ampio, comprendendo quindi anche l’aspetto commerciale, Chromecast è un “cavallo di Troia” alla pari di tutti gli altri dispositivi più o meno gratuiti piazzati nei pressi del televisore negli ultimi vent’anni almeno. La strategia è ben nota: si regala un dispositivo elettronico (o lo si fa pagare pochissimo) favorendone la massima penetrazione se non addirittura obbligandone l’uso, per poi fornire a pagamento servizi e contenuti esclusivi per un riproduttore esclusivo. Si fa affidamento, quindi, alla tradizionale inerzia nel cambiamento e resistenza verso l'ennesimo scatolotto da collegare al televisore. In una parola tutto si potrebbe riassume con Sky, che basa il suo modello di business non solo sulla competizione fra contenuti sul mercato aperto ma soprattutto sulla presenza obbligatoria del suo riproduttore satellitare (e prossimamente wifi, evidentemente non a caso) chiuso a qualsiasi offerta concorrente in ogni salotto degli abbonati.
E’ una questione pluridecennale, spesso inquadrata col confusionario nome di “decoder unico”, verso la quale è storicamente giusto arrendersi, non c’è stata legge capace di scardinare il concetto. Chromecast, certamente più semplice e “aperto” del decoder Sky, può avere in prospettiva le stesse potenzialità, se non maggiori: non è l’unico DMR a poche decine di euro sul mercato ma è fornito da un grande marchio mondiale che gestisce anche il 70% dei moderni smartphone. Nel nostro mondo politico/economico abituato a ragionare in termini “televisivi” oggi non mette paura a nessuno ed in fondo alla domanda “cosa ci si può fare” per il momento si risponde perlopiù con un “si possono vedere facilmente i contenuti YouTube sul televisore” (aggirando le difficoltà che frenano l’uso delle app preinstallate negli smart-tv).
Ma non ci vuole molto ad immaginare che una massiccia diffusione di Chromecast, tutti gestiti direttamente da Google che tiene un database dei dispositivi connessi e attivi (con dovizia di particolari non esplicitata), può aprire all’istante scenari sostanzialmente dirompenti: infiniti “canali tv” senza licenza e senza confini, infiniti contenuti “live” da qualunque punto nel mondo o da qualunque smartphone a spazzare via accordi e aste per i diritti tv, film e dischi alla portata di un click. Sia chiaro, nulla di nuovo, tutto questo è in teoria possibile anche senza Chromecast, esattamente come la televisione via satellite non dipende da Sky: Chromecast però rende tutto più semplice e standard. E non è tutto. Ogni televisore “chromecastizzato” sul pianeta può essere trasformato in un display “digital signage” e riprodurre su comando remoto con la massima semplicità immagini, suoni, video a comando di un solo click. Un bottone degno della valigetta nucleare del presidente Usa e non serve una flotta di satelliti.