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Un cavallo (di Troia) chiamato Chromecast

Il piccolo ricevitore Chromecast
Lo abbiamo visto definito nei modi più strani ed in fondo si può capire, somiglia fisicamente ad una “chiavetta” di memoria Usb, pur essendo a guardar bene molto diverso. Le dimensioni sono maggiori, la forma è rotondeggiante ad un’estremità (è la zona dell’antenna wi-fi) e all’altra c’è un connettore HDMI. Lascia intuire che la sua destinazione è il retro del televisore moderno, con ingressi digitali HDMI, ed il suo uso assimilabile ad uno dei tanti gadget video-tecnologici che il mercato presenta senza soluzione di continuità. Dopo averlo messo alla prova, alla luce del business dello streaming dei film che verrà, si intuisce che lo scenario non è così semplice.

Cos’è e come funziona Chromecast

Sul piano tecnico più astratto è un microcomputer, ovvero unione di cpu, memoria e bus di trasporto dati, con scheda di rete wi-fi e uscita audiovideo digitale. Sul piano logico, comprendendo il software di gestione che ne definisce il carattere specifico, è un “renderer DLNA” o DMR, Digital Media Renderer. Come suggerisce il nome, un “renderer” è un dispositivo che “renderizza” cioè prende un file e lo visualizza attraverso schermo e altoparlanti, quindi è un dispositivo che "riceve" e non "trasmette" come invece potrebbe far pensare la descrizione ufficiale su sito Google. Ci sono molti dispositivi DMR nascosti nelle nostre case, un televisore moderno ne incorpora almeno uno, altrettanto fanno console di gioco e lettori Blu-ray, tutti allineati allo standard DLNA (Digital Living Network Alliance) per la condivisione dei file audio, video e foto nella rete domestica. Chromecast, pur essendo nei fatti molto simile, non ha bisogno di aderire all’universale DLNA, è sviluppato da Google, gestito da un software specifico e per il momento destinato a riprodurre soprattutto file provenienti da internet, non dalla rete locale (se non si usano apposite applicazioni come BubbleUpnp ad esempio).
Il vantaggio straordinario, che potrebbe dargli una marcia in più quando si tratterà di acquistare veramente anche in questo paese film dalla rete, sta nella semplicità e nella compatibilità garantita. Tramite una delle app predisposte, ad esempio quella di YouTube o Google Play Movie su smartphone o tablet si comanda Chromecast a prendere un file dalla rete internet ed è tutto. Basta premere la piccola icona rettangolare a simboleggiare il televisore ed il contenuto, anziché essere visualizzato dal dispositivo mobile, sarà gestito direttamente da Chromecast, che prenderà il file dalla rete (non dal telefono) e lo passerà all’ingresso HDMI del televisore pronto per essere disegnato sullo schermo. Tramite browser Chrome su PC, invece, è possibile passare al Chromecast il contenuto di un "tab" fotogramma per fotogramma: in questo caso il contenuto viene prelevato dalla rete, visualizzato dal browser Chrome e passato localmente a Chromecast.
Chromecast, quindi, non è il prodotto di una tecnologia esclusiva o una straordinaria novità, ma sicuramente il suo uso è molto più semplice e standardizzato di qualsiasi concorrente. Un vantaggio che Google potrà affiancare o fondere in Android TV, la controparte software di Chromecast offerta al mercato dei produttori di elettronica.

Perché Chromecast è l'ennesimo (ottimo) cavallo di Troia

Con sguardo ancor più ampio, comprendendo quindi anche l’aspetto commerciale, Chromecast è un “cavallo di Troia” alla pari di tutti gli altri dispositivi più o meno gratuiti piazzati nei pressi del televisore negli ultimi vent’anni almeno. La strategia è ben nota: si regala un dispositivo elettronico (o lo si fa pagare pochissimo) favorendone la massima penetrazione se non addirittura obbligandone l’uso, per poi fornire a pagamento servizi e contenuti esclusivi per un riproduttore esclusivo. Si fa affidamento, quindi, alla tradizionale inerzia nel cambiamento e resistenza verso l'ennesimo scatolotto da collegare al televisore. In una parola tutto si potrebbe riassume con Sky, che basa il suo modello di business non solo sulla competizione fra contenuti sul mercato aperto ma soprattutto sulla presenza obbligatoria del suo riproduttore satellitare (e prossimamente wifi, evidentemente non a caso) chiuso a qualsiasi offerta concorrente in ogni salotto degli abbonati.
E’ una questione pluridecennale, spesso inquadrata col confusionario nome di “decoder unico”, verso la quale è storicamente giusto arrendersi, non c’è stata legge capace di scardinare il concetto. Chromecast, certamente più semplice e “aperto” del decoder Sky, può avere in prospettiva le stesse potenzialità, se non maggiori: non è l’unico DMR a poche decine di euro sul mercato ma è fornito da un grande marchio mondiale che gestisce anche il 70% dei moderni smartphone. Nel nostro mondo politico/economico abituato a ragionare in termini “televisivi” oggi non mette paura a nessuno ed in fondo alla domanda “cosa ci si può fare” per il momento si risponde perlopiù con un “si possono vedere facilmente i contenuti YouTube sul televisore” (aggirando le difficoltà che frenano l’uso delle app preinstallate negli smart-tv).
Ma non ci vuole molto ad immaginare che una massiccia diffusione di Chromecast, tutti gestiti direttamente da Google che tiene un database dei dispositivi connessi e attivi (con dovizia di particolari non esplicitata), può aprire all’istante scenari sostanzialmente dirompenti: infiniti “canali tv” senza licenza e senza confini, infiniti contenuti “live” da qualunque punto nel mondo o da qualunque smartphone a spazzare via accordi e aste per i diritti tv, film e dischi alla portata di un click. Sia chiaro, nulla di nuovo, tutto questo è in teoria possibile anche senza Chromecast, esattamente come la televisione via satellite non dipende da Sky: Chromecast però rende tutto più semplice e standard. E non è tutto. Ogni televisore “chromecastizzato” sul pianeta può essere trasformato in un display “digital signage” e riprodurre su comando remoto con la massima semplicità immagini, suoni, video a comando di un solo click. Un bottone degno della valigetta nucleare del presidente Usa e non serve una flotta di satelliti.

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